La storia di Valentina Giuffrè: la malattia di Wilson e l’impegno con Telethon

La scoperta della malattia di Wilson, le cure continue e ora la gioia di essere mamma: Valentina Giuffrè ha una storia emozionante da raccontare.

Valentina Giuffrè ha incontrato la Malattia di Wilson quando aveva appena cinque anni, in un periodo in cui questa patologia genetica era poco conosciuta e spesso diagnosticata troppo tardi. Il suo esordio fu quasi silenzioso: un pallore persistente, un alito insolito e valori alterati nelle analisi del sangue che vennero inizialmente attribuiti a una mononucleosi. L’insistenza di sua madre portò però a una valutazione più approfondita.

Un'intervista a Valentina Giuffrè
La storia di Valentina Giuffrè: la malattia di Wilson e l’impegno con Telethon (Ildemocratico.com)

Durante un controllo al Gaslini di Genova, fu individuata la causa reale: il malfunzionamento del gene responsabile dell’eliminazione del rame in eccesso, che nel corpo della bambina rischiava di accumularsi fino a danneggiare gravemente organi e sistema nervoso. Parliamo di una diagnosi arrivata un quarto di secolo fa, quando ancora la malattia era ancora avvolta da incertezze diagnostiche che spesso conducevano a errori, come interpretazioni neurologiche sbagliate o sovrapposizioni con disturbi simili al Parkinson.

Il rapporto con la malattia di Wilson tra infanzia e adolescenza

Quelle che potevano essere le conseguenze di una diagnosi tardiva purtroppo sono ben note: rischiavano peraltro di diventare irreversibili. La bambina però rientrò nella minoranza fortunata: la sua condizione fu riconosciuta per tempo e ciò le permise di intraprendere immediatamente la terapia farmacologica, un impegno quotidiano rigoroso fondato su farmaci chelanti e sali di zinco da assumere con precisione, più volte al giorno.

Valentina Giuffrè con la sciarpa di Telethon
Il rapporto con la malattia di Wilson tra infanzia e adolescenza (Ildemocratico.com)

La vita con una malattia invisibile agli occhi degli altri richiese fin da subito disciplina, costanza e un percorso di accettazione non lineare. Durante l’infanzia e l’adolescenza, la giovane faticava a riconoscersi nei casi gravi che incontrava nei convegni dell’Associazione Nazionale Malattia di Wilson: più tardi, crescendo e acquisendo la maturità per comprendere meglio cosa accadeva, ha capito l’importanza di condividere anche le esperienze positive.

L’impegno associativo e la nascita del figlio

Valentina Giuffrè ha potuto così mostrare ai pazienti più giovani che un’esistenza autonoma e piena è possibile quando la patologia viene intercettata e gestita per tempo: ha assunto un ruolo attivo nell’associazione che si occupa della malattia e si è fatta coinvolgere anche nei progetti di Telethon. Oggi, a 30 anni, accompagna i nuovi pazienti nel percorso di consapevolezza e cura, spiegando l’importanza della regolarità terapeutica e aiutandoli a capire che questa patologia cronica richiede un impegno costante.

Valentina Giuffrè ospite in televisione
L’impegno associativo e la nascita del figlio (Ildemocratico.com)

Ma c’è un altro passaggio nella sua vita: parallelamente agli studi in matematica e al lavoro in un’azienda informatica a Pisa, Valentina Giuffrè vive infatti un quotidiano intenso in cui si intrecciano maternità, professione e volontariato. Due anni fa ha dato alla luce Leonardo Arturo e, con il compagno Lorenzo, ha affrontato la questione genetica della malattia con lucidità, informandosi sui rischi e sottoponendo il bambino ai test previsti.

Testimonial di un’esperienza positiva

Valentina Giuffrè è instancabile: ha visitato più volte il Tigem di Pozzuoli, dove opera il ricercatore Roman Polishchuk, impegnato da anni nello studio dei meccanismi cellulari della malattia e nella sperimentazione di trattamenti innovativi per i pazienti che non rispondono alle terapie disponibil, è sempre al fianco di Telethon e le sue partecipazioni pubbliche, come quella a Da noi a ruota libera, mostrano la determinazione di trasformare un’esperienza complessa in uno strumento di aiuto per gli altri.

Raccontare la propria storia, soprattutto in un momento in cui il Paese si prepara alle festività e ai cibi che per lei sono off-limits, è diventato un modo per dare volto e voce a una condizione spesso invisibile e per far comprendere quanto sia preziosa la ricerca che permette a molti pazienti di condurre una vita autonoma. La giovane donna oggi percepisce la sua malattia come una compagna con cui ha imparato a convivere, una presenza che riconosce come parte della propria identità.

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